mercoledì, 7 aprile 2010
Primavera
Il blog si trasferisce qui: blog.superfluous.superfluo.org, se volete iscrivetevi ai nuovi feed.
Maggiori dettagli qui: https://superfluo.org/blojsom/blog/pic/2010/04/07/Spring.html
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Sul divano che gioco con Omar.
Ad un certo punto lui si sbilancia e va a dare una capocciata contro la parete:
- oh povero, vieni qua che soffio sulla bua
e gli do una bella soffiata sul capo.
Al che Omar vuole soffiare sul muro, e io gli dico che non si è fatto male e allora si avvicina e mi soffia sulla testa.
- ma no Omar, il papà non si è fatto male!
Non c'è problema, avrà pensato, e mi appioppa un paio di manate in testa e poi, tutto contento, si avvicina di nuovo e soffia sulla bua.
Nelle due precedenti occasioni, Omar si era sì addormentato con Abiura di me, però dopo esser stato un bel po' a rilassarsi in braccio a me.
Ieri ho voluto fare una prova meno condizionata da altri fattori: ho preso il bambino mentre se ne stava tutto arzillo a giocare, gli ho cambiato il pannolino, l'ho portato davanti al pc e ho fatto partire il video. Tempo due minuti e dormiva ...
Costo di una chiamata verso lo stesso operatore della durata inferiore ai trenta secondi con piano tariffario VF Italy:
16 centesimi di scatto alla risposta più 6 centesimi per i primi 30 secondi, totale 22 centesimi.
Costo della stessa chiamata con promozione You&Me:
16 centesimi di scatto alla risposta più 7 centesimi per i primi 60 secondi, totale 23 centesimi.
Enrico:
- ma tu quanto pesi?
- 88 kg
- vaccadì (annuendo con la testa a sottolineare quanto sia grande il peso)
poi ci pensa su ancora un attimo ...
- quasi porca troia
(annuendo con ancora maggiore convinzione)
Interessante il concetto "porca troia è più di vaccadì". Porca troia lo dice pressapoco come il Tremonti di Guzzanti alle prese con problemi di bilancio, il che mi rende la cosa ancora più divertente.
Tralasciamo poi il fatto che vedendo le risate che mi sono fatto abbia aggiunto:
- questa sera lo scrivi sul blog
Technorati Tags: vaccadì porca troia Enrico
In rete trovo sempre più documenti che parlano della storia dei CCCP - FEDELI ALLA LINEA e sono lieto di perderci le ore di sonno. Segnalo un po' di roba per chi come me non ha di meglio da fare che indagare su una storia di 25 anni fa:
Avere dei figli è un'occasione eccezionale per osservare da vicino lo sviluppo psico-intellettivo di un essere umano. Ovviamente un paio di casi osservati non possono essere considerati rappresentativi dell'intera specie ma offrono comunque degli spunti interessanti.
Vista l'oggettiva innocenza di un bambino molto piccolo mi sono sempre chiesto a che età Enrico avrebbe iniziato a comportarsi con malizia. Ora che ha quattro anni e mezzo posso dire che è già una piccola canaglia ma la macchinazione che ha messo in piedi oggi è così emblematica che mi è venuta voglia di raccontarla sul blog.
Premessa 1.: spesso la sera prima di metterlo a dormire, Enrico ed io giochiamo con un videogioco, o meglio, io gioco :-) e lui guarda ma è contento lo stesso.
Premessa 2.: oggi però è stato troppo birichino (come egli stesso si definisce :-) e così, per punizione, lo abbiamo minacciato di non farlo giocare.
Scena prima: ad un certo punto della serata mi chiede per l'ennesima volta se possiamo giocare, io obietto che non è che se lo sia molto meritato. Poco dopo noto che a Omar manca un calzino e allora chiedo a Enrico di andarlo a cercare. Lui, lavativo, mi dice che non ne ha voglia al che rispondo che allora il gioco se lo può proprio dimenticare. A questo punto fa un rapido giro in camera sua e dice che non lo trova, in realtà non l'ha nemmeno cercato. Se non lo trovi non giochi gli dico e allora finalmente cerca con maggiore impegno ma senza successo (è birichino ma un po' scemo ;-). Per farla breve, dopo varie discussioni, mi alzo e subito trovo il calzino che era dove gli avevo suggerito di guardare. Enrico inizia a protestare dicendo che aveva capito male ecc. ecc. ma io non sento ragioni.
Scena seconda: dopo un po' Enrico sembra rassegnato e si aggira per la casa, ad un tratto però mi si avvicina e mi dice: Guarda il piede di Omar. Io in un primo momento penso che voglia farmi vedere che è completamente coperto dalla braga dei pantaloni e non capisco il problema. Lui allora insiste, alza la braga e, sorpresa, il piede è di nuovo senza calzino! Che strano vero?
Ha confessato tutto non appena gli ho detto che avevo capito il trucco, per fortuna non è ancora così corrotto da mentire spudoratamente!
Technorati Tags: piccoli umani canaglie Enrico
Venerdì 12 settembre parteciperò al MARTCamp. Sabato invece provo ad andare a qualche altro evento della blogfest, magari a quello di GIScover (all'interno del BlogFest BarCamp). Se passate di là fate un fischio.
2008-Set-09 CEST: sabato purtroppo non riesco ad esserci
Scena prima: un giorno di inizio primavera, la cucina è invasa dalle solite minuscole formiche che ogni anno, passati i mesi freddi, si rifanno vive. Io mi sto rifocillando con delle fette di pane ai semi di girasole e nutella, una vera delizia. Per quanta attenzione uno ci metta è immancabile che molti semini si stacchino dal pane e cadano per terra o sul tavolo o, nel mio caso, sul piano di lavoro. Poco male visto che raccoglierli con i polpastrelli e schiacciarli tra i denti uno ad uno è un'altra piccola soddisfazione per il palato.
Nella penombra del tramonto passo dalla cucina, raccolgo l'ennesimo semino e lo metto in bocca ma quando lo schiaccio ha un gusto molto particolare. Dopo due secondi di riflessione capisco di essermi appena mangiato una formica, la cosa strana però è che quel gusto non mi è nuovo, mi ricorda qualcosa ma non so dire cosa ...
Scena seconda: un giorno di fine primavera, la stagione delle ciliegie sta per concludersi e sugli alberi rimangono solo quelle scartate dai contadini o perché troppo piccole o perché un po' rovinate. A contendersele merli, insetti e lo scrivente con prole al seguito. Ne raccolgo una ma è già stata colonizzata dalle formiche, poco male, io non sono particolarmente schizzinoso e così le soffio via e me la mangio. Ecco che riassaporo quel gusto e capisco dove l'avevo già sentito: le ciliegie molto mature sono spesso assalite dalle formiche che per scomporle secernono delle particolari sostanze che impregnano anche il resto del frutto!
Conclusione: le formiche sono buone, hanno lo stesso gusto di certe ciliege molto mature.
Più in generale il mangiare insetti pare essere una buona abitudine alimentare, meglio pane e nutella comunque.
Technorati Tags: formiche ciliegie entomofagia gusti
Devo scrivere un post perché ho costretto il mio amministratore di sistema di fiducia ad aggiungere i feed di Superfluo e Superfluous al suo lettore e non voglio deluderlo. Così vedo anche se è attento, come quando simulavo attacchi di hacker per vedere quanto ci metteva ad accorgersene :-D . Sto scherzando, non l'ho mai fatto ;-) .
Enrico è un puzzone e non vuole mai fare il bagno però quando riesci a ficcarlo in vasca poi non vuole più uscirne e devi sorvegliarlo per evitare inondazioni. Omar lo metti a mollo ed è felice, sarà che gli ricorda di quando se ne stava beato immerso nel liquido amniotico.
Stasera ho fatto il bagno ad entrambi. La cascata tipo bagno termale giapponese imitata con l'ausilio di una bacinella è stata molto apprezzata da Enrico, meno dalla mamma quando ha visto gli effetti sul pavimento.
Cambiando argomento, dalla miniera che è YouTube: gli ultimi minuti della finale del mondiale di pallavolo 1990, uno dei momenti sportivi più emozionanti che abbia mai vissuto. La schiacciata finale è di Lorenzo Bernardi che è uno dei miei miti. Grazie al nuovo sponsor Seba, il tuo caldaista di fiducia tra un po' cambieremo le magliette e son riuscito ad accaparrarmi il numero 9 :-) . Peccato che mi tocchi sempre giocare come centrale anche se sono nato per fare il laterale, il problema è che di laterali ne abbiamo già troppi.
Tante volte mi piacerebbe riportar qui qualche uscita divertente di Enrico ma purtroppo di solito me le scordo troppo in fretta. Non oggi però:
dopo cena, ad un certo punto Enrico spegne tutte le luci ed inizia a perlustrare la casa con torcia elettrica, dicendomi cose tipo:
- lucciamo qua, lucciamo là, che bello lucciare!
lucciare ...
proiettare un raggio di luce con una torcia elettrica?
Technorati Tags: lucciare
Forsi za save che go idee n'atim tradizionaliste sul talian e alora no ve meraviieré se ve digo che anca el dialet el ga el so perché :-) . Enfati ogni tant m'era pasà per la testa de scrivar qualche post en dialet ma sicome za no ghe sto tanto drio a sto blog ho sempre lasà star.
Ades però el Lemi el m'ha dat l'ocasion giusta: se capì en po' de trentin vardeve anca voi i video de sto Mario Cagol, che i fa bastanza sganasar dale risade :-D. (sugeriso su tuti Goldrake geloss, Supercar, l'Uomo Ragno aka Segapaia e Alien).
Podria fermarme chi ma za che ho scominzià fago qualche altra considerazion:
secondo, el dialet trentin el ga mila varianti, mi zerco de rendar quel del me paes ma se te fai en par de chilometri za cambia qualche parola e magari l'intonazion. Tant per dir: a Lavaron parlen pu o men cosita ma a Folgaria (quindese chilometri pu en là) l'è tut n'altra roba. Co me moie po, che l'è sempre trentina ma del Garda, fen fadiga a capirne (ma questo el vale per tuti i sposi ;-). Per no parlar po de Luserna (dese chilometri pu en qua) che i sa ancor el cimbro o de zo en val (dese chilometri pu en zo) en do za i parla vicentin.
Eco, che se sapia, sto qua pu o men l'è dialet de Lavaron, anca se bisogneria considerar che el cambia en po anca da frazion a frazion e se digo nikestozele el capiso mi e pochi altri.
Eco, ades son anca en po curios de saver chi che lezerà sta roba. Così vedo se ghe qualche trentin che pasa de chi o se l'è vera, come ho sempre pensà, che i dialeti del triveneto i li capise en po' tuti perché i'è fazili. Ensoma, se se rivai fin chi e avé anca capì pu o men quel che volevo dir, scriveme magari en comento, grazie.
Technorati Tags: trentin dialet trentin Mario Cagol
Blecout, via Garbaland. Condivido in pieno il messaggio ecologista e mi compiaccio del crescente numero di inconsapevoli aderenti a scrivi come mangi. Un altro esempio d'attualità: femily dei sul web è scritto sopratutto così come l'ho riportato (io però metterei una i al posto della y) femili dei come scrivono alcuni sul web.
Già che sono in tema, un altro esempio interessante è l'iPod, un eclatante caso di parola che, anche se di uso comune, non si è ancora riusciti a capire come pronunciare in italiano perché, in mancanza di una regola precisa, ognuno continua imperterrito a portare avanti le proprie convinzioni, che macello :-) !
Technorati Tags: blecaut scrivi come mangi femili dei femily dei iPod
Un post, tanto per dare un segno di vita. Non è che mi manchino le cose da scrivere (tutt'altro) ma il tempo per farlo decisamente sì. Alcune cosette:
Technorati Tags: CCCP - FEDELI ALLA LINEA
Inauguro quest'oggi la categoria recensioni. Il motivo è presto detto: oggi a pranzo sono stato al ristorante. Ci vado di rado ma oggi a casa abbiamo deciso che era d'uopo andarci. Ho mangiato bene e così mi son detto che poi l'avrei scritto sul blog. Successivamente ho deciso di fare anche una categoria apposita e di adottare una linea editoriale mollichiana, il che vuol dire che scriverò solo recensioni positive. Non aspettatevi molti post visto l'andazzo generale del blog.
Ristorante Alla Paia, via Fabbrica 6, Tregnago (VR):
Quanto bella è la parola scrinsciòt?
Technorati Tags: scrivi come mangi scrinsciòt
Devo correggere il mio precedente post: avrei dovuto scrivere {ghik} e non {giik}. Oggi ho infatti casualmente scoperto che è questa la giusta pronuncia inglese della parola geek!
Che io fossi ignorante era cosa risaputa ma sono convinto di aver sentito usare la pronuncia sbagliata da molti altri e questo mi dà l'occasione per affermare una volta in più che se esistessero e venissero applicate delle semplici regole di adozione dei termini inglesi eviteremmo di fare un enorme macello che non giova a nessuno.
Geek non è stato inserito nei miei due dizionari on-line di riferimento ma credo sia solo questione di tempo. Quando avverrà, se ho ragione nel ritenere che la pronuncia [giik] si sia già imposta non credo che si cercherà di correggerla (sarebbe un po' come se ora mi costringessero a dire [pazol] invece di [puzzle], non sia mai!) e così ci troveremo con una nuova eccezione tra le eccezioni dell'italiano: una parola con una pronuncia diversa sia dall'originale inglese sia da quella che si potrebbe ricavare dall'ortografia.
Un po' di tempo fa Enrico Maria Milic parlava di vivacità della lingua. Secondo me va bene la vivacità ma con ordine. Se serve adottiamo pure mezzo vocabolario inglese e mettiamo cappa ovunque ma, al tempo stesso, facciamo come i fisici che cercano omogeneità e simmetria in ogni cosa e provano sempre a ricondurre ogni formula ad un ristretto numero di equazioni base.
Technorati Tags: giik ghik geek scrivi come mangi
L'ultimo post di Sakscia mi induce a raccontarvi nel dettaglio com'è andata.
Come si sarà capito, sono un sostenitore del software a codice aperto e da molti anni, pur conscio delle potenziali difficoltà che ciò comporta, utilizzo quasi esclusivamente sistemi operativi GNU/Linux (ultimamente, mio malgrado, non è più così ma questa è un'altra storia).
Purtroppo però non sono molto abile come amministratore di sistema e perciò, memore anche delle peripezie necessarie per usare le porte USB ai tempi in cui iniziavano a prendere piede, ritenevo che per far funzionare la nostra macchina fotografica con Debian mi occorresse almeno una settimana di tempo e avevo sempre lasciato perdere.
Punto sul vivo però non ho più potuto ritrarmi e così:
Il personal sciopper!!! Come ho potuto dimenticarlo?! Si tratta di una figura professionale di cui, io che detesto andar per negozi, avrei grande bisogno:
Toh, ciapa trenta euro e va tome da vestir che no go più gnente de neto da metarme. Tegni el resto.
Temo solo che i suoi servigi non siano così a buon mercato :-(
Technorati Tags: personal sciopper
Ehm, quadrimestrale volevo dire, non bimestrale!
La verità è che ho troppe cose per la testa per seguire come si deve anche queste mie insulse iniziative. Il materiale però non mancherebbe: basta guardare un po' di televisione per trovare un sacco di casi adatti ad essere trattati in questo spazio. L'ultima volta che l'ho fatto mi sono imbattuto in alcune nuove professioni:
Confesso che non mi spiacerebbe fare il manager della mobilità, professione per la quale credo di essere particolarmente vocato (sono uno di quelli che quando fanno benzina al self servis stanno bene attenti a non lasciarne nemmeno una goccia nel tubo!). Non riesco invece a capire quale possa essere l'utilità del laif coc ma se ve ne serve uno e pagate bene contattatemi pure che vedrò di informarmi. Su richiesta mi alleno un po' (che non mi farebbe male) e vi faccio anche da personal trainer (o treiner?).
Prima di terminare non posso non segnalare l'ultimo stupido post della mia consorte che, evidentemente condizionata dalla coabitazione, se la prende con il kinder bueno uait (di nuovo notate come l'inglese sia la lingua più perfida, l'unica che non si lascia pronunciare (o scrivere) come si deve!).
Mi preme anche informarvi che il lessico di Enrico migliora velocemente e mentre sa già chiamare con disinvoltura papà Nicola non riesce ad andare al di là di un mama scakia (seguito spesso da fragorose risate :-) e, per conto mio, è già fin troppo bravo.
Technorati Tags: scrivi come mangi praivat banker mobiliti manager laif coc
Sento il dovere di rispondere al post di Enrico Maria Milic intitolato Linux e il disturbo psichico.
Un paio di premesse:
Punto per punto:
per i primi due non dovrebbero esserci molti problemi visto che si usano in ambienti basati prevalentemente su standard aperti. Il discorso purtroppo cambia per Open Office perché opera dove lo standard di fatto sono i formati proprietari Microsoft. Visto che, per quanto ne so, non esiste una documentazione pubblicamente consultabile su come siano fatti tali formati, l'attuale compatibilità offerta dai prodotti a sorgente aperto è stupefacente ma, purtroppo, ancora insufficiente :-( . Un discorso analogo lo si può fare per Thunderbird e Firefox per quel che riguarda la fruizione di documenti non canonicamente {ueb}, ad esempio i video. Questo è uno dei più grandi ostacoli alla diffusione di GNU/Linux.Thunderbird per la posta, Firefox per il web e Open Office per i software di testi, calcolo e presentazioni
il problema della mancanza di driver è incontestabile ed è un altro grosso ostacolo alla diffusione di GNU/Linux. Va però precisato che, in teoria, chi produce l'hardware dovrebbe anche fornire idonei driver idonei. Questo infatti avviene abitualmente per i sistemi Microsoft ma raramente per GNU/Linux perché probabilmente non si reputa conveniente sostenere il costo necessario a soddisfare una piccola fascia di potenziali utenti. Non si possono però imputare agli sviluppatori di Ubuntu o di qualsiasi altra distribuzione GNU/Linux tali mancanze. Non è un caso che il problema si senta molto meno per quel che riguarda i dispositivi di connessione di rete, visto che la quota di mercato dei server GNU/Linux è molto più significativa.incompatibilità di schede audio varie, per esempio, mi fanno diventare un’avventura complessa usare Skype
Gimp rimane un mistero anche per mia moglie e me. A detta di molti è un software potentissimo ma, a mio parere, è troppo difficile da usare. Probabilmente richiede una certa dimestichezza con concetti di grafica al computer a me del tutto ignoti.Gimp come programma per la grafica - che ogni tanto mi tocca usare - è un programma sfigato e scadente.
Qui quel che va precisato è che il passaggio tra due versioni principali di una distribuzione non è una pipetta. È un po' come passare da Windows 98 a Windows XP operazione che, nella mia ignoranza, non credo sia indolore e richieda invece tante reinstallazioni e riconfigurazioni.Ma la cosa peggiore è quella che mi sto sobbarcando ora: per aggiornare Ubuntu dalla versione 5 alla 6 non c’è una - dico una - guida in inglese o in italiano che permetta a un "human being" come me di capire come fare senza frizzi e lazzi di righe di comando, shell e pippette varie.
/etc/apt/sources.list
sostituendo il nome della vecchia versione con quello nuovo, poi aprire un terminale di root (suvvia, non bisogna avere paura dei terminali!), lanciare il comando apt-get update
che aggiorna il database dei pacchetti e poi il comando apt-get dist-upgrade
che effettua concretamente l'aggiornamento. Penso che, con un accesso ssh, si possa far fare l'operazione in remoto a qualche amico più competente ma per esserne sicuro dovrei chiedere al mio sistemista di fiducia (non vorrei che un aggiornamento così importante chiudesse la connessione a lavoro incompleto!).In conclusione, a mio parere, è per certi aspetti vero che, al giorno d'oggi, usare GNU/Linux sia un atto di masochismo. Non bisogna però pensare che ciò sia causato dalla mente folle dei {gik} che sviluppano software a sorgente aperto (beh, ogni tanto forse è proprio così ;-) ). La ragione fondamentale è che esiste il monopolio Microsoft nei sistemi operativi su macchine desktop, ciò condiziona implicitamente la produzione di ogni materiale informatico (software, documenti, ecc.) rendendolo molto più facilmente fruibile all'interno di tale ambiente. Una riprova di ciò è che quando si opera, come me, in settori tradizionalmente legati a GNU/Linux spesso il lavoro risulta più complicato se svolto con Windows.
In altre parole, l'indiscutibile migliore facilità di utilizzo di Windows è in massima parte dovuta al fatto che tutti (o quasi) ce l'hanno e tutti (o quasi) assumono (erroneamente) che anche chi adopererà la loro roba ce l'ha. C'è, in questo senso, una diffusa mancanza di sensibilità nei confronti di chi preferisce non usare prodotti proprietari. Detto questo, a mio parere, sarebbe buona cosa se tutti, ad eccezione degli azionisti Microsoft, si impegnassero, con l'uso quotidiano del computer, a ridurre la propria dipendenza da Windows e, più in generale, da formati e protocolli chiusi, perché il monopolio giova solo ai monopolisti.
Technorati Tags: GNU/Linux Microsoft Windows formati aperti standard aperti Ubuntu
Ehm, forse avrei dovuto specificare che la rubrica era a cadenza bimestrale ;-) .
Per il numero di oggi me la cavo con un semplice link: laif is nau (via dotcoma)
Technorati Tags: scrivi come mangi
La settimana scorsa a dISPENSER hanno parlato del noizu. Di questo servizio a noi, più che la corrente musicale, interessa la spiegazione di come le parole straniere vengano adattate al giapponese con l'applicazione di precise regole, non vi ricorda nulla?
Una veloce ricerca mi ha portato a questo bellissimo articolo: Japanglish, Janglish o Japlish, che costituisce una vera miniera di spunti.
Numerose sono le analogie con la situazione italiana o con quanto scritto nell'esporre la teoria sugli anglicismi, cito ad esempio:
la supremazia culturale statunitense dal dopoguerra ad oggi potrebbe essere una spiegazione convincente di questo fenomeno
In Giappone, così come in Italia, sono molti coloro che portano avanti la solida convinzione di preferire varianti autoctone a termini che suonano esotici. Infatti, ultimamente, la tendenza all'uso di neologismi, creati soprattutto prendendo in prestito parole anglosassoni, sta diventando incontrollabile. Se, da un lato, il processo di importazione di terminologia inglese con successiva “nipponizzazione” serve a coprire delle assenze, soprattutto nel settore informatico, della moda, della cucina, dello sport, dall'altro sembra andare incontro piuttosto ad un’esigenza di stile. Dire furesshu (ingl. fresh, fresco), al posto di sawayaka, produce un effetto più attraente e dà al testo un’impronta esotica che piace particolarmente ai giovani.
Ciò che trasforma la parola straniera in una parola inconfondibilmente giapponese è il suo adattamento fonetico. La nuova parola, dopo aver fatto il suo ingresso, non solo non viene più scritta in caratteri latini, ma viene anche adeguata alle regole della propria pronuncia, in pratica diventa a tutti gli effetti una nuova parola giapponese.
Come si evince dall'ultimo punto, la regola utilizzata è molto più radicale di quella da me proposta per l'italiano, influisce infatti sia sull'ortografia che sulla pronuncia. In effetti ci sono molti casi in cui questo è opportuno anche per l'adattamento alla nostra lingua, vedi ad esempio gli aggettivi che terminano in -able o i sostantivi che terminano in -tion che sono comunemente (e più propriamente) trasformati in -abile e -zione piuttosto che in -abol e -scion come vorrebbe una ceca applicazione della regola.
Technorati Tags: Japlish Giappone scrivi come mangi
Nel presentare la mia teoria sugli anglicismi ho dato vita al movimento scrivi come mangi ed ora non posso esimermi dal fare di Superfluous una testimonianza attiva di tale iniziativa! Questo significa che talvolta, in questo spazio personale, mi prenderò la libertà di scrivere le parole straniere applicando la regola principale della teoria. Scriverò ad esempio part taim al posto di part time e oll rait invece di all right. Alle volte, per maggiore chiarezza, contornerò queste parole con delle parentesi graffe (e così avremo {oll rait} invece di all right). Altre volte continuerò a scrivere i forestierismi con l'ortografia originale.
Per non confondere troppo le idee, cercherò di essere coerente all'interno di ogni singolo post (salvo casi eccezionali come questo).
Se troverete situazioni in cui non si capirà se la regola sia stata applicata o meno non preoccupatevi: non si tratterà di qualche eccezione alla teoria ma, più semplicemente, mi sarò sbagliato a scrivere oppure avrò un'idea sbagliata della pronuncia della parola ;-) .
A proposito della pronuncia: dove utile terrò buona anche la convenzione proposta nella presentazione della teoria, ovvero l'uso dell'ortografia italiana che più le si avvicina scritta tra parentesi quadre.
Ho infine intenzione di tenere una rubrica sul tema composta dai post collocati nella categoria omonima al movimento. blojsom consente di abbonarsi allo specifico {fiid} utilizzando uno dei seguenti indirizzi:
Technorati Tags: scrivi come mangi
Non so spiegarne la ragione ma l'adozione di termini inglesi nella lingua italiana è un tema che, da sempre, mi appassiona. Ecco perché mi sento autorizzato a scriverne anche se non sono minimamente qualificato per farlo :-) .
Se nel mondo si parlasse una sola lingua molte cose sarebbero più semplici ed io ne sarei ben lieto (perché, tanto per dirne una, non mi farei più tante paranoie sull'Itaglish o sull'argomento di cui mi appresto a scrivere). Purtroppo non è così, l'inglese si è praticamente imposto come lingua internazionale ma, a livello locale, la gente continua ad usare il proprio idioma originario. Un effetto di questa convivenza, nel caso dell'Italia e dell'italiano, è per l'appunto una crescente adozione di anglicismi.
Negli ultimi anni l'attenzione su questo tema, che nel passato passava abbastanza inosservato, è molto aumentata (o per lo meno questa è la mia impressione).
L'esempio più evidente (che conosca) è quello della trasmissione Diario condotta dalla giornalista Roberta Giordano che fino alla fine del 2005 andava in onda su Radio 24. Tale trasmissione ospitava regolarmente Francesco Sabatini, attuale presidente dell'Accademia della Crusca. Egli, sollecitato dalle domande degli ascoltatori, parlava spesso di specifici termini inglesi diventati d'uso comune in italiano e qualche volta estendeva il discorso a delle considerazioni di carattere generale.
Altri esempi si possono trovare cercando in rete, tra questi mi piace ricordare i post di Assente (già citati su Superfluo) che, oltre ad essere interessanti, includono riferimenti a varie altre risorse.
Ho già detto nell'introduzione della convivenza tra italiano ed inglese che crea certamente un terreno fertile alla mescolanza tra le due lingue. Esistono anche altri motivi per cui siamo inclini ad utilizzare sempre più anglicismi? A tal riguardo ho sentito molte volte Sabatini appellarsi alla maggiore sinteticità di tale lingua rispetto alla nostra. In molti casi ciò è certamente vero ma questa secondo me è soltanto una concausa: se non esiste un modo comodo per dire una cosa si potrebbe sempre idearlo (spesso è quel che è appena stato fatto per la parola che prendiamo a prestito!), o no? I veri motivi sono quindi altri:
L'ultimo dei precedenti motivi, qualche volta in combinazione con la pigrizia, è alla base dell'uso più ingiustificato, e che quindi meno comprendo, dei termini inglesi nell'italiano. Per illustrare meglio cosa intendo, posso rifarmi di nuovo ad Assente, che nel suo post L'italiano non piace agli italiani l'ha esemplificato alla perfezione, oppure ad un divertente articolo sul Giornale di Brescia. Qualche esempio in più però non guasta mai:
Fin qui ho descritto il fenomeno ed ho discusso di quelli che sono i motivi scatenanti. Ora spiegherò perché io ritenga che esso possa essere in qualche modo dannoso.
La presenza di una parola di origine straniera nell'italiano, di per sé, non mi preoccupa minimamente! Al limite, come detto, mi infastidisce un po' quando è del tutto superflua. È normale che, confrontandosi con altre culture, si rubino dei termini e questo non è affatto negativo. Nel passato è già successo moltissime volte senza causare grossi problemi ed oggi usiamo comunemente un sacco di parole che provengono dal francese, dal tedesco, dall'arabo o da chissà quale altra lingua.
Dell'origine straniera della maggior parte di questi termini però non ce ne accorgiamo minimamente perché il loro assorbimento è stato graduale e si sono perfettamente adattati alla nostra lingua. Ecco un esempio di come potevano andare le cose un tempo (almeno credo): nei mercati arrivava un prodotto straniero e i venditori, non ricordandosi bene il nome originale, lo storpiavano un po' (o se lo inventavano di sana pianta :-) ). Lo stesso facevano poi i clienti parlandone ai loro amici e parenti. In questo modo, di passaparola in passaparola, storpiatura dopo storpiatura, si formavano tante nuove parole per indicare quel prodotto. Col trascorrere del tempo, infine, una sorta di selezione naturale faceva sopravvivere solo i termini che si erano meglio adattati alla lingua locale. Oggi invece, se negli Stati Uniti d'America presentano la Play Station, dopo pochi minuti anche tutti noi vogliamo quella macchina delle meraviglie e sappiamo anche esattamente come chiamarla: la Play Station, che fa tanto figo ma altro non è che una postazione di gioco. Tutte queste nuove parole diventano subito d'uso comune ma spesso non sono molto compatibili con la nostra lingua e quindi possono causare qualche inconveniente!
Per spiegare meglio in cosa consista questa incompatibilità e tali conseguenti inconvenienti occorre distinguere tra italiano parlato e italiano scritto.
Occorre inoltre introdurre una convenzione per indicare il modo in cui sono articolate le parole straniere: metterò tra parentesi quadre il termine che letto all'italiana mima la pronuncia in questione (o meglio, quella che io credo sia la pronuncia), qualche esempio:
team -> [tiim]
hockey -> [ochei]
mobbing -> [mobbingh]
boom -> [bum]
wrestling -> [vrestlingh]
L'uso dei simboli fonetici al posto di questa convenzione sarebbe stato certamente più preciso ed elegante ma, purtroppo, va al di là delle mie conoscenze in materia :-( .
Nella lingua parlata, per la verità, il problema non è molto grave. In questo contesto, infatti, il processo di italianizzazione è del tutto naturale: le parole vengono adattate automaticamente perché altrimenti non potrebbero essere utilizzate. I verbi ad esempio devono essere coniugati con i nostri tempi e modi e costituiscono così una ricca fonte di veri e propri neologismi che non arrecano alcun danno alla nostra lingua, anzi, semmai la arricchiscono.
Per quanto riguarda la pronuncia, la maggior parte delle persone, spontaneamente, preferisce dare un suono più italiano ai termini inglesi e anche questa, a mio modesto avviso, è una cosa positiva. Per la verità ad alcuni tra quelli che conoscono molto bene l'inglese preme usare la corretta pronuncia ma questo è un errore perché stanno parlando in italiano! (una piccola nota: non abbiatene a male per quanto ho scritto, io in realtà vi invidio moltissimo per la vostra padronanza dell'inglese!) L'ignoranza quindi è una volta tanto propizia :-) ma produce anche degli effetti collaterali: siccome siamo in tanti a non sapere il modo giusto in cui si dice una parola inglese, capita di ritrovarsi con diverse versioni orali dello stesso termine e questo, chiaramente, genera un po' di confusione.
È interessante osservare che alle volte la forma ad imporsi è quella sbagliata, cioè quella che non corrisponde alla dizione originale. In un bel post di Blog from Italy sono riportati alcuni casi del genere oltre ad altri divertenti esempi di parole introdotte dall'inglese che hanno addirittura assunto un nuovo significato.
Se dunque, nella lingua parlata (a mio avviso), l'invasione in atto non crea troppi danni, nella lingua scritta abbiamo invece uno scempio :-( . Di primo acchito potrebbe sembrare strano: se il termine inglese va bene nel parlato perché non anche nello scritto? In effetti per lo scritto si possono ripetere, nel bene e nel male, la maggior parte delle osservazioni fatte al punto precedente ma c'è un aspetto in più da considerare.
Quando alle scuole medie studiavo tedesco mi insegnavano che tale lingua, come l'italiano, ha delle regole fisse di pronuncia. Ora purtroppo l'italiano ha perso questa caratteristica proprio a causa dell'enorme numero di termini inglesi che sono stati adottati negli ultimi anni e questo è il motivo per cui ritengo che il fenomeno sia anche dannoso!
Sembra una cosa da poco ma non è così:
C'è infine una problematica che riguarda in egual modo il parlato e lo scritto: come vanno declinate al plurale le parole adottate dell'inglese? Fortunatamente mi pare che siano gran pochi quelli che si azzardano, come nella lingua d'origine, ad utilizzare una s finale che in italiano è oltremodo cacofonica! Nella maggior parte dei casi però questi termini finiscono con una consonante e quindi non si prestano nemmeno ad una facile italianizzazione del plurale. Conseguentemente si tende a lasciare invariata la parola ma, visto il grande numero di casi di cui stiamo parlando, a lungo andare questa tecnica potrebbe avere effetti deleteri :-( .
Visto che, come ho spiegato, ci sono certi aspetti di questo fenomeno che non vanno bene, è ovvio che io mi auguri che qualche cosa venga fatto a livello nazionale per porvi rimedio. Finora però, a giudicare dall'andazzo generale, mi pare che non sia ancora stato messo in pratica nulla di efficace per evitare questi problemi e nessun elemento mi fa pensare che in futuro ci sarà un'inversione di tendenza :-( .
Questo articolo (in forma di post) non vuole però limitarsi semplicemente a descrivere (e un po' criticare) lo stato delle cose. Esso intende anche illustrare la mia donchisciottesca soluzione, o meglio, una delle mie tante idee strampalate che pomposamente chiamo teorie e che, se applicate, risolverebbero i problemi del mondo ;-) (e che mia moglie è periodicamente costretta a sorbirsi ;-) ). Non si tratta comunque di nulla di particolarmente originale, la soluzione proposta (come sovente capita) è già chiara a molti, manca solo la volontà di metterla in pratica.
Come si potrebbe dunque rimediare al problema? Non sarebbe poi così difficile! Basterebbe stabilire delle regole precise da applicare per l'uso di termini stranieri e richiedere la loro adozione in ogni contesto pubblico (in primo luogo ai mezzi di informazione). Immagino che in paesi come Francia e Spagna vengano presi provvedimenti di questo tipo e che essi siano anche efficaci. Tali lingue sembrano infatti meno inquinate della nostra pur essendo ugualmente soggette alla pressione dell'inglese (me ne rendo conto quando confronto le diverse traduzioni delle interfacce delle applicazioni software).
L'aspetto interessante della cosa però è la definizione di tali regole.
Una prima ed ovvia norma di buon senso è certamente quella di usare i termini italiani quando questi siano disponibili. Siccome però, come ho già detto, questo non è l'aspetto nocivo del problema (fintantoché il discorso resti comprensibile ai più ...), si tratta di una regola opzionale, la cui applicazione è lasciata alla buona volontà delle persone desiderose del mio personale encomio ;-) :
Nel caso in cui non esista un equivalente italiano del termine inglese, una seconda norma potrebbe imporre l'ideazione all'uopo di nuove parole. Questa credo fosse la consuetudine sotto il regime fascista ma io sono di manica più larga. Se qualcuno vuole prodigarsi nella creazione di italianissime parole faccia pure, io mi accontento del termine straniero, mi piacerebbe però che venisse adottato nel rispetto delle regole che seguono.
Qualsiasi sia dunque il motivo che ci porta a introdurre nella nostra lingua un vocabolo straniero (per pigrizia mentale, necessità di un sinonimo :-) , esterofilia, effettiva mancanza di un termine equivalente, ecc.) è necessario che esso assuma sembianze italiane. Come già detto per molti aspetti questo avviene in modo praticamente automatico e quindi in tutti questi casi possiamo evitare di stabilire delle regole apposite e lasciar lavorare il caso. Fa purtroppo eccezione la questione dell'ortografia che invece richiede il rispetto della seguente fondamentale norma:
i termini stranieri vanno scritti con l'ortografia italiana che ne imita la pronuncia originale. Nel seguito, per maggiore chiarezza, metterò le parole scritte secondo i dettami di questa regola tra parentesi graffe. Qualche esempio:
Volendo veramente applicare questa soluzione, occorre definire meglio svariati dettagli, tra i quali:
Si noti che l'applicazione di questa regola ci permetterebbe, con mio somma soddisfazione, di togliere di mezzo almeno tre lettere inutili del nostro alfabeto: la j, il w e la y. La k invece secondo me potrebbe essere utilizzata ovunque al posto del ch (ma questa sarebbe una causa ancor più donchisciottesca!) mentre alla x concedo il beneficio del dubbio.
Credo poi che sia necessario prevedere un'eccezione alla regola:
i nomi propri mantengono l'ortografia originale,
anche se ciò aprirebbe tutto un altro filone di discussione su cosa debba essere considerato nome proprio e cosa no.
Se perciò consideriamo Play Station un nome proprio, allora va scritto {Play Station} e non {Plei Stascion}, e così per {Clint Eastwood} e {Josey Wales}, {texano} (o {tecsano}?) dagli occhi di ghiaccio.
Per il momento non ho ancora le idee chiare in merito alla questione dei plurali. Come ho già detto temo che il mantenere tutte queste parole invariate al plurale possa rendere in troppi casi ambigua la nostra lingua. D'altra parte credo che all'invenzione di nuove parole ad hoc non sia una tecnica destinata al successo anche se esempi come {faili}, plurale di {fail} (cioè il file, da non confondersi con le file, plurale di fila), hanno un loro fascino :-) .
Tutto qua, la teoria è tutto sommato molto semplice: in pratica consiste nella sola applicazione di una banale regola di scrittura dei termini inglesi. Il suo impatto sarebbe però rilevante:
L'applicazione della teoria non è comunque in discussione dato che nessuno la prenderà mai sul serio :-) . Che sia però potenzialmente possibile metterla in pratica è fuori di dubbio come può constatare chiunque si prenda la briga di provarci.
Chi lo fa, noterà una cosa strana: risulta più difficile adottare la regola di scrittura proposta piuttosto che utilizzare direttamente l'ortografia inglese! Ciò è un po' paradossale perché il fine principale (e unico) della teoria è proprio quello di semplificare le cose, assoggettando gli anglicismi alle comuni norme italiane. Tale disorientamento, secondo me, deriva dal fatto che siamo già abituati a scrivere quei termini all'inglese ma con un po' di esercizio ogni incertezza svanirebbe. Ricordiamoci poi che i bambini imparano a scrivere da zero e certamente preferiscono affidarsi ad un'insieme preciso e limitato di norme piuttosto che a un guazzabuglio di regole di pronuncia italiane e inglesi (con il dubbio su quali dover applicare di volta in volta) corredate da centinaia di casi particolari. Infine, diciamolo pure, anche tutti gli ignoranti come me sarebbero molto contenti di non dover più ricorrere al vocabolario ogni volta che gli tocchi scrivere o dire qualche parola di provenienza straniera.
Tutto il discorso fatto si può estendere a termini di qualsiasi origine. Il caso dell'inglese però è certamente il più importante perché è da lì che attualmente provengono la stragrande maggioranza delle nuove parole e perché si tratta di una lingua molto vicina all'italiano. Questa sua vicinanza, come già detto, rende facile l'assorbimento delle parole nel parlato e ci fa sottovalutare gli effetti deleteri nello scritto. Se l'invasione in atto fosse da parte di una lingua molto più distante dalla nostra, allora forse le difficoltà nell'utilizzarla ci renderebbero più consapevoli dei danni arrecati e quindi saremmo più incentivati a cercare qualche rimedio. Tanto per dirne una: se si trattasse di parole tedesche nessuno si farebbe problemi a sostituire la ß con una doppia s. Se non altro perché sulle tastiere italiane tale lettera non c'è :-) .
Il modo migliore per terminare questa sezione mi sembra sia l'istituzione, seduta stante, del movimento scrivi come mangi finalizzato alla promozione della teoria qui esposta. Semplifichiamo la nostra vita e quella dei nostri figli! Al motto per un italiano facile da scrivere e da leggere prendiamo tutti parte a l'iniziativa scrivi come mangi! Questo per lo meno fino a quando l'inglese (o qualche altra lingua) non sarà conosciuto da ogni essere umano. Quel giorno potremo abbandonare tutti gli idiomi locali e smettere (soprattutto io) di farci certi problemi. Io ne sarei felice ma dubito di vivere abbastanza a lungo per vedere concretizzarsi una cosa del genere.
Essendo stato breve e conciso, ho ancora spazio per una divagazione sul tema.
Esiste una seconda tecnica, ortogonale a quella proposta, che consente di mantenere l'usuale facilità di lettura e scrittura dell'italiano. In realtà, grazie a mio padre, è anche stata la prima a venirmi in mente.
Evidentemente, quando era giovane lui, la televisione e la radio non erano onnipresenti e la carta stampata la faceva ancora da padrone nel diffondere ogni novità. Le parole straniere venivano quindi imparate per come erano scritte mentre ne rimaneva ignota la pronuncia. Fu così che molti anni fa, in un rara discussione in famiglia su temi musicali, lui se ne esce con poi sono arrivati i Beatles ma a me non piacevano tanto (per la verità le parole precise saranno state più vicine a queste: dopo è vegnù fora i Beatles ma a mi noi me piaseva masa). E allora? E allora Beatles era pronunciato leggendo la parola all'italiana, cioè [beatles] e non [bitols]! La cosa, ovviamente, da sciocco adolescente e saputello qual ero, mi fece piuttosto ridere! In seguito però (precisamente dopo i già citati casi di Magnum P. I. e A-Team) riflettei meglio sulla cosa e capii che era lui ad avere ragione!
La regola alternativa è proprio questa: scrivere i termini nel modo originale ma leggerli all'italiana. Questa regola è chiaramente duale rispetto a quella proposta ed è quindi vantaggiosa dove l'altra è svantaggiosa e viceversa. Ho tra l'altro notato che questa regola trova già una tacita applicazione in alcuni nostri modi di dire: quanti, come me, pronunciano made in Italy così come è scritto (cioè [made in itali]) invece che [meid in itali] (che credo sia la pronuncia originale inglese)?
Per la precisione devo dire che essendo Beatles un nome proprio forse sarebbe meglio mantenere sia l'ortografia che la pronuncia originali, quindi mio padre non aveva proprio tutta la ragione ;-) .
Ovviamente io sono un sostenitore di scrivi come mangi ma sono anche consapevole che si tratta di un movimento privo di alcuna autorevolezza (e, oserei dire, un tantino di nicchia). Sono quindi costretto, mio malgrado, a scrivere gli anglicismi così come indicano i dizionari cioè, tranne qualche rara eccezione, con la loro ortografia originale. In genere, comunque, tendo ad evitare l'uso di termini stranieri, specialmente quando sono scritti in modo che una lettura all'italiana non ne produce la corretta pronuncia (e questi purtroppo sono la stragrande maggioranza dei casi). Per non risultare ora troppo contraddittorio, preciso che titolo e descrizione di Superfluos sono in inglese per dualità con Superfluo, che invece ha titolo e descrizione in italiano pur essendo scritto in uno pseudo-inglese.
Su Superfluos ho quindi azzardato un provviste al posto di feed e ho lasciato syndication invariata. Quanto più belle sarebbero però state {sindicascion}, {fiid} e, già che ci siamo, {on-lain}?
Mia moglie si chiama Sakscia ma si pronuncia [sacsia]. Non è mai stato chiaro se si tratti di un nome di origine straniera o se sia frutto della fervida fantasia dei suoi genitori, a riguardo ci sono testimonianze contrastanti che, a parer mio, nascondono la volontà di prendere le distanze dall'accaduto ;-) . Fatto sta che portare quel nome è piuttosto scomodo: non c'è occasione in cui non sia necessario spiegare come sia scritto all'interlocutore di turno! Neanche a dirlo, nel periodo in cui iniziavamo a frequentarci, io affrontai il tema dell'ortografia e della pronuncia di Sakscia centinaia di volte, a ripensarci adesso mi chiedo come abbia fatto a sposarmi ... (già me la immagino quando leggerà questa frase e dirà ed era solo la punta dell'iceberg (o {aisbergh}?)!)
Se qualcuno è giunto fin qui allora probabilmente sarà interessato a approfondire la questione (non è necessario farlo subito ;-) ). A tal fine, delle tante cose che ho trovato scrivendo questo articolo, segnalo le seguenti:
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Grazie ad Alex ho tradotto il sottotitolo di questo blog ed ora la dualità con Superfluo è completa.
Queste sì che sono soddisfazioni :-P .
Proposta di legge per la destinazione dell'otto per mille alla ricerca scientifica.
Superfluous è lo spazio in Italiano di Superfluo.
Come tradurreste in Inglese di quel che non c'è si fa senza? Grazie